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I piccoli comuni in Europa

Sta diventando un luogo comune la considerazione secondo la quale i comuni in Regione e in Italia sono troppo numerosi e di dimensioni non tali da consentire la fornitura a costi contenuti di servizi adeguati ai cittadini. Per ridurre i costi delle amministrazioni locali si dovrebbe pertanto spingere verso una fusione dei comuni più piccoli, in modo da aumentare le dimensioni medie delle amministrazioni comunali e ridurre il loro numero. Ne deriverebbero notevoli riduzioni dei costi.
Non è questa la sede per affrontare adeguatamente il problema della riforma degli enti locali, che richiederebbe una coraggiosa riconsiderazione dei compiti e delle funzioni da attribuirsi alle unità amministrative di base (comuni), alle unità amministrative di area vasta (province, circondari, comprensori, distretti, contee, o come altrimenti le si vuol chiamare), e delle unità federali (Regioni, Länder, Stati) e cioè di quelle unità del governo locale che si pongono al di sotto dello Stato, o della Federazione.
Basti in questa sede soltanto considerare che negli altri paesi europei il numero dei comuni è uguale o anche molto superiore a quello del nostro paese o della nostra regione. In Italia i comuni sono 8.094, con 60.442 mila abitanti, in Austria, con 8.350 mila abitanti, i comuni sono 2.381, in Germania, con 82.438 mila abitanti, i comuni sono 13.678, in Francia, con 65.447 mila abitanti, i comuni sono addirittura 36.678. Se vogliamo venire più vicino, la provincia di Udine con 530 mila abitanti conta 137 comuni, mentre la Carinzia, un poco più popolosa avendo 560 mila abitanti, conta 132 comuni, praticamente lo stesso numero. Appare evidente come i comuni, essendo le unità amministrative di base, devono seguire le comunità, per offrire ai cittadini quei servizi diffusi o di sportello che richiedono la presenza degli uffici e delle rappresentanze nelle singole comunità e siano raggiungibili per via pedonale o tutt’al più ciclabile. La Francia ha applicato tale principio in termini estremamente rigorosi.
Una impostazione rigorosamente autonomista non può che favorire i piccoli comuni, perché è a livello di singola comunità che si può partecipare meglio alle gestione della cosa pubblica, si può esercitare il controllo sociale sull’operato degli amministratori, si possono individuare le responsabilità, spingendo al massimo l’autogoverno, e si può garantire l’accesso agevole ad un minimo di servizi di base. Gli autonomisti non devono farsi prendere dai luoghi comuni di un falso efficientismo, che in nome di un risparmio di risorse tolgono i servizi alle popolazioni che scelgono di continuare a risiedere nelle piccole località, che rappresentano punti preziosi di vita sociale e di conservazione delle identità culturali della popolazione.